martedì 21 giugno 2011

Cresta delle Emozioni

Sicuramente indovinato il nome di questa via, anche se il signor Castagna forse non si riferiva alle emozioni provate dalle nostre due cordate: Stefano con Alessio e Davide con me. Arrivati sul posto, notiamo subito i residui della pioggia caduta la notte che assieme al vento forte aveva picchiato la zona. Arrivati velocemente all’attacco, non riusciamo a tenerci incolumi dal fango, infatti, azzerando nella difficile partenza, tingo la roccia con la patina marrone delle scarpette cercando invano un punto di aderenza. Arrivo alla prima sosta in stile Rollerblade in salita, assicurandomi anche su una radice scoperta scavando a mani nude nel fango, tutto questo poteva essere un buon motivo per ritornare sui nostri passi ma, consultandomi con gli altri, continuo sperando in un miglioramento del tipo di terreno. In effetti, più su la roccia migliora, più asciutta, fango non ce n’è. Si alternano passaggi semplici con tratti più impegnativi, uno in particolare devo capirlo un pochino prima di superarlo, stretto in un camino dove i movimenti non sono liberi e intuitivi, perdo un po’ di tempo cercando di proteggermi e non vedo un chiodo che mi avrebbe dato una maggior sicurezza mentale: fa sempre un certo effetto quando la difficoltà resta alta e l’ultimo punto di sicurezza certa si allontana sempre più sotto i tuoi piedi. Anche i miei amici ritardano in quel punto, mi rincuora sapere che anche gli altri hanno avuto difficoltà e ripresa la fiducia in me stesso continuo su spigolo verticale compatto con qualche passaggio tecnico ma di piena soddisfazione. Le nuvole basse fanno temere il peggio ma non piove e con questa strana atmosfera passiamo su un terrazzo sospeso molto suggestivo, poi continuiamo su crestine e guglie, aeree ed emozionanti. Seguendo su e giù la cresta faccio l’errore di saltare una sosta facendo due tiri concatenati, blocco fatalmente le corde creando uno “stendibiancheria” sul punto più basso; per fortuna Stefano fermandosi correttamente alla sosta giusta mi accompagna le corde mentre le recupero. Ancora una lunghezza, la via è giunta al termine, mentre aspetto la seconda cordata con Davide, prepariamo la doppia che ci porta trenta metri più sotto fino al sentiero. Mi resterà un bel ricordo di questa via grazie a chi l’ha vissuta con me: Davide per la sicurezza che ha e la fiducia che m’infonde, Stefano per la professionalità e il rispetto verso di noi e per la montagna, Alessio per l’umiltà e l’audacia trovata in questa via che ha regalato veramente a tutti noi forti emozioni.


Semper ad altum.

venerdì 3 giugno 2011

Col dei Bos, via Alverà Menardi

Ore 4 e 20: La montagna chiama ed io da bravo soldato rispondo. Siamo in tre stamattina a rispondere alla chiamata: Stefano, Alessio ed io; anche se è presto, anche se siamo assonnati, anche se le previsioni non sono delle migliori, noi ci siamo perché quando la montagna chiama, lo fa in maniera autorevole e non ti puoi rifiutare. Col dei Bos, via Menardi Alverà, Stefano parte ma non è convintissimo, lo stimoliamo senza molto successo, probabilmente non ha fatto una gran notte, lo si vede dall’espressione. Intanto ci ha portati fino alla 5° sosta e mentre medita di cedermi il posto al passaggio chiave del 6° tiro trovo, non so come, le parole giuste per convincerlo a provarci e qui accade il miracolo: quando lo raggiungiamo superando il camino e la successiva fessura a fatica fino alla sosta, lo vediamo completamente risvegliato, con Alessio arriviamo alla conclusione che gli abbia fatto bene un po’ di adrenalina. A questo punto tocca me e arrivo abbastanza agevolmente alla 12° sosta, intanto il tempo si alterna con nuvoloni, pioggerellina e schiarite, in molti tratti il vento e il freddo si fa sentire anche con il pail antivento, soprattutto quando spesso si nasconde il sole; guardando Alessio che veste con una magliettina tecnica e il senzamaniche del GASP, non capisco come riesca a sopportare quel clima. Esco dalla nicchia su uno stretto camino alla 13° lunghezza, la relazione parla di soli 8 metri elettrizzanti. Mi alzo e con casco e torace incastrato mi dimeno inutilmente per salire ulteriormente: dentro la fessura non si passa; mi porto all’esterno e con movimenti amorfi e innaturali mi trovo come un tappo tra la roccia, insistendo riesco a risalire tra imprecazioni e lo sguardo sbigottito dei miei amici che, ripercorrendo poi la stessa traccia, comprendono a loro spese lo strano passaggio da circo. Comincia a piovigginare nuovamente, ma che importa, ancora un ultimo facile canale e siamo fuori dalla via, torna di nuovo il sole. Sopra al Col dei Bos è meraviglioso: un prato pianeggiante con qualche masso bianco qua e la, ad Est sovrasta lo sguardo imponente la Tofana di Rozes con la parte alta ancora bianca, sembra quasi di poterla toccare da quanto grande è. Dopo questa via, essere qui sopra e stringerci la mano prende un valore maggiore, ci sentiamo in sintonia anche con noi stessi, il detto “tocco il cielo con un dito” mi piace pensare sia stato inventato su una di queste alture. Resta da fare la solita procedura standard: qualcosa da mettere nello stomaco, foto di vetta, corde e zaini in spalla e giù per il facile sentiero aggirando le chiazze di neve restate sul crinale. Ore 17.00, la nostra missione l’abbiamo adempiuta alla grande, la montagna ci da la libera uscita, siamo consapevoli che potrebbe chiamare al più presto.


Semper ad altum.